venerdì 24 febbraio 2023

RELIGIONE ROMANA: Del Regifugium del 24 febbraio e del Re e della Regina Sacrorum uniti nella confarreatio



Bassorilievo in marmo, fine II d.c., conservato presso il Museo Nazionale di Roma 


Il regifugium è un antico cerimoniale della religione romana dal significato oscuro che aveva luogo nel corso della comitia calata, assemblea romane tenute per scopi liturgici durante le quali il popolo si riuniva per assistere ai proclami ufficiali del rex sacrorum o dei pontefici, del 24 febbraio che culminava con la fuga improvvisa dall'assemblea del rex sacrorum.  
La cerimonia affonda le sue radici in età monarchica. Nella parole di Ovidio (43aC-18dC) essa appare come una commemorazione di quando Roma esiliò Tarquinio il Superbo (… -m. 495 aC, settimo ed ultimo re di Roma) perchè colpevole di aver stuprato Lucrezia, moglie del politico romano Lucio Tarquinio Collatino. 
Altre fonti narrano che la cerimonia del regifugium segnava la fine dell'anno e la sospensione delle attività del rex sacrorum fino alle Calende di marzo: infatti prima della riforma del calendario da parte di Giulio Cesare (...-44aC) l'anno iniziava con il mese di marzo (dedicato al dio Marte), di conseguenza il 24 febbraio corrispondeva al 24 dicembre, ed il regifugium celebrava la "sparizione" del Sole durante il solstizio invernale. Il ritorno del Rex, come detto prima alle Calende di Marzo, segnava l'inizio del nuovo anno. 

Con la deposizione del settimo re di Roma, Tarquinio il Superbo appunto nel 509 a.c., occorreva qualcuno che officiasse i rituali e le cerimonie religiose a cui presiedeva il re di Roma e che in epoca regia erano di esclusiva pertinenza del re. Per questo fu istituito il rex sacrorum, il re dei riti sacri, un sacerdote pagato dallo stato che doveva sostituire il re nei doveri religiosi. 
Di norma era un patrizio figlio di genitori uniti in matrimonio con l’antica cerimonia della confarreatio ed a sua volta unitosi in matrimonio con il rito confarreatio, il matrimonio romano arcaico, che la tradizione faceva risalire a Romolo. 




La cerimonia del quale era caratterizzata dalla spartizione fra i nubendi di una focaccia di farro, simbolo della futura vita comune e di un sacrificio a Giove Farreo (Iuppiter Farreus) alla presenza di dieci testimoni (nati da matrimoni celebrati sempre con il rito del matrimonio confarreatio), del Flamen Dialis e del Pontifex Maximus. Solo questa particolare cerimonia conferiva al marito il potere sulla moglie e sui figli, se non si fosse celebrata il matrimonio seguendo questo rito la moglie rimaneva di proprietà della famiglia d’origine. Per l'occasione, doveva essere sacrificata una pecora, la cui pelle, pellis lanata, sarebbe stata impiegata per coprire il sedile su cui gli sposi sedevano durante la cerimonia. La sposa doveva indossare un velo rosso, il flammaeum, che le copriva il capo e successivamente doveva compiere, insieme al marito, tre giri rituali destrorsi intorno all'altare. L'unione delle mani degli sposi, dexterarum iunctio, manifestava il loro consenso al matrimonio. La cerimonia si concludeva con la pronuncia della formula rituale "ubi tu Gaius ego Gaia" (dove tu Gaio [sottinteso: sei, sarai] anche io Gaia [sottinteso: sono, sarò]), che sottolineava il passaggio della moglie e del suo patrimonio (ma non dei suoi eventuali debiti) nella famiglia del marito recidendo qualsiasi tipo di legame con la famiglia di origine, compreso il partecipare alle eventuali successioni.


Galleria degli Uffizi, Firenze


Secondo quanto riportato da Tito Livio, il rex sacrorum faceva parte del collegio dei pontefici era la magistratura religiosa più alta del culto romano, ma sottoposto all'autorità del Pontifex Maximus, inoltre non poteva esercitare alcun incarico politico-militare o ricoprire cariche pubbliche. La scelta del rex sacrorum era affidata al Pontifex Maximus come capo del collegio pontificale, fra tre candidati designati dal Collegio Pontificale e si concludeva con cerimonia di inauguratio, necessaria affinché il prescelto divenisse a tutti gli effetti rex sacrorum.
La carica di rex sacrorum era a vita e comportava obblighi particolari quali evitare nei giorni feriali di veder uomini al lavoro, funerali, cadaveri. Al rex sacrorum spettava la pratica dei riti all'antica triade romana (Giove, Marte, Ops); la ritualizzazione dell'inizio dell'anno, delle nomine dei nuovi sacerdoti, delle adozioni e delle esecuzioni testamentarie. Durante la festa delle Agonalie di gennaio offriva un montone nero nella Regia, nel corso della festa dell'Equirria portava i trofei del cavallo sacrificato a Marte. Il rex sacrorum annunciava la successione delle feste per il mese a venire, stabiliva quando si potevano svolgere le attività sia pubbliche che private e riguardo all'attività agricola. 
Lo storico romano Rufio Festo (IVsc a.C ca) afferma che i giorni 24 marzo e 24 maggio erano nefasti, ma diventavano fasti dopo che il rex sacrorum aveva compiuto un rito, probabilmente un sacrificio, e si era presentato nel Comitium.  Il rex sacrorum assolveva al compito di placare gli Dei a nome della res publica romana qualora presagi negativi fossero stati ravvisati dagli Auguri o dagli Aruspici. 
Viveva nella Domus pubblica sulla Via Sacra, nei pressi del Regia e della casa delle vergini Vestali, con la moglie la Regina Sacrorum, che aveva un ruolo sacerdotale nel culto di Giunone. 
L'inizio di ogni mese era ritualizzato dalla moglie del rex sacrorum, la quale sacrificava in quest'occasione alla dea Giunone alla quale le calende erano dedicate.  Il Rex Sacrorum e la Regina Sacrorum presiedevano un sacrificio officiato diverse volte al mese, alle Idi, alle Nonae e alle Calendae.  
Lucio Claudio fu l’ultimo rex sacrorum repubblicano a noi noto. 
La carica venne abolita, durante il regno di Teodosio I nel 390 d.c.

Fonti:
A.Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, 2015
P.Ovidio, i Fasti libri II
G.C. Marini, Sacerdozio e potere politico: aspetti del rapporto tra religione e diritto nella esperienza romana repubblicana,  Roma,1982 
R. Del Ponte, La religione dei romani,  Rusconi, Milano, 1992 -
George Dumezil, La religione romana arcaica, Rizzoli Editore, Milano, 1977
Jorg Rupke, La religione dei Romani, Torino, Einaudi, 2004

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Rathnai Kalpitham asanam, Himajalai snanam cha divyambaram, Naana rathna vibhooshitham mruga madha modhanvitham Chandanam, Jathi champaka bilwa pathra rachitham, pushpam cha doopam thathaa, Deepam deva dayanithe pasupathe, hrud kalpyatham gruhyatham. (Adi Sankaracharya, Shiva Manasa Puja)


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