Il quarto giorno di Krishna Paksha (Luna Calante) del mese lunare di Karthika (ottobre-novembre), le donne indiane che ancora seguono la tradizione e/o coloro che seguono la Via del Dharma (induismo) osservano il digiuno per, e celebrano, la festa di Karwa Chauth. Karwa Chauth è una festa molto antica, che testimonia il legame indissolubile di amore e devozione che intercorre tra moglie e marito nella tradizione indiana.
Karwa è il "vaso di terracotta" che viene donato alle donne in questo giorno da amici e/o parenti, vedremo poi che uso ne viene fatto proprio nel corso di questo giorno.
Chauth significa "quarto giorno", ed è il giorno del mese in cui viene celebrata la festa.
Si racconta di una regina di nome Veervati, profondamente devota al marito, che si trovava a casa dai genitori quando venne il tempo di celebrare Karwa Chauth. Senza esitazione Veervati osservò rigorosamente il digiuno di Karwa Chauth, noto come Nirjala, durante il quale non solo occorre astenersi dal cibo, ma anche dal bere il più piccolo sorso d'acqua, dall'alba a quando la Luna non è alta e visibile nel cielo.
Doveva ancora calare la sera che Veervati già attendeva disperatamente il sorgere della Luna, perchè soffriva molto a causa della fame e della sete. Veervati era l'unica figlia femmina ed i suoi sette fratelli non sopportavano di vederla in tale angoscia e sofferenza; essi la supplicavano di interrompere il digiuno ma Veervati era irremovibile: da quella sua offerta dipendeva la salute, la longevità e la prosperità del marito.
Nel quarto giorno di Karthika, prima dell'alba le donne prendono un pasto preparato loro dalla suocera, poi dalle prime luci del giorno digiunano da cibo ed acqua. Nella casa viene allestito un piccolo altare agli Dèi e vi viene posizionato il karwa, un vaso in argilla decorato, che riempiono di riso, lenticchie urad, vermiglio, un pettine, un nastro ed una moneta, che simboleggia la pace e la prosperità della casa, e che la suocera, od una donna anziana della famiglia, benedice.
Nel corso della giornata le donne visitano amiche e parenti, indossano gli abiti ed i gioielli del matrimonio, si dipingono il corpo con mehendi, preparano quei dolci che offriranno agli dèi e che consumeranno con il marito per interrompere il digiuno alla sera. Quelle lunghe ore di resilienza ed abnegazione sono una preghiera silenziosa a sostegno dell'amore coniugale e della fiducia recipoca, e testimoniano che il potere dell'amore non conosce limiti, che non si intimorisce, non si scoraggia non desiste dal proprio intento nemmeno quando per provarlo occorre trascorrere una giornata senza mangiare e senza bere a temperature che superano i 30 gradi e con una umidità a volte oltre l'80%.
Il digiuno è il voto che la donna compie per garantire l'amore la felicità e la gioia alla sua famiglia.
La preparazione dei dolci è il simbolo dell'impegno speso dalle mogli per il benessere del marito, della famiglia e della loro unione; è simbolo della loro devozione senza limiti, del sacrificio intrapreso con amore e trepidazione ogni giorno della loro vita insieme; è il tributo al legame che esiste tra marito e moglie, al suo valore nel tempo.
Nell'offrire al dio Ganesh ed al dio Shiva preghiere, canti, incenso, fiori vi è testimonianza della forza duratura dell'amore che trascende i limiti della natura umana e di come la devozione possa risplendere nell'ora più buia ed aiutarci a passare attraverso le avversità. Vi è il riconoscimento della necessità della benedizione divina perchè vi sia benessere e felicità.
Quando al termine della giornata la moglie guarda la Luna e poi suo marito attraverso la fitta rete del setaccio, alla luce tremolante della diya, la negatività e l'oscurità sono rimosse dalla vita matrimoniale, mentre si chiede la benedizione degli Astri sulla loro unione, ma soprattutto si rinnovano nel silenzio le promesse, si riaccende l'amore e l'impegno nei confronti del marito che renderà duraturo il loro matrimonio e si rafforzerà quella connessione che marito e moglie condividono nonostante i ritmi, il caos e l'indifferenza del mondo moderno.
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